Giorgio Chinnici

Oggi vi propongo un'intervista all'ingegnere elettronico d'origine Belmontese Giorgio Chinnici. 
Autore di vari libri, l'ultimo dei quali è il saggio "Turing l'enigma di un genio".


Che ricordi hai della tua giovinezza vissuta in Sicilia?

Ho fatto la terza e quarta elementare a Belmonte. Ho fatto in tempo a vedere un mondo di ieri che non esiste più, e lo considero un privilegio. Un mondo agricolo chiuso in sé stesso ma dai valori sani. "U paìsi" era il mondo di questi uomini che andavano la mattina in campagna a piedi o dorso di mulo e tornavano la sera con i frutti del loro lavoro.
Ricordo quelle porte sempre aperte sulla strada di terriccio rosso, il fuoco dei camini, le botti di vino, l'uva accatastata in enormi cesti; gli anziani che alla sera, attorniati da noi bambini, raccontavano i "cunti", magari mentre sbucciavano fichi d'india da distribuire a tutti.

Che percorso di studi hai seguito per riuscire a svolgere la tua professione?
Da piccolo ho fatto l'ingegnere e da grande ho fatto il fisico.
Al di là di questa battuta, che faccio sempre, le cose sono andate così: dopo il Liceo Cannizzaro a Palermo, benché la mia grande passione fosse la Fisica, mi sono iscritto a Ingegneria Elettronica, sostanzialmente perché così facevano i miei amici.
Dopo la laurea mi sono trasferito a Milano, e di fatto ho sempre lavorato al CESI (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano), dove in tutti questi anni ho svolto svariate funzioni. Sono stato anche due anni distaccato presso la nostra sede a Mannheim in Germania, da dove sono rientrato da pochi mesi.
Ma la grande passione per la Fisica pura che covava sotto la cenere a un certo punto è prepotentemente saltata fuori. Per me si tratta di un interesse filosofico fondamentale, in quanto questa disciplina permette di avvicinarsi alla comprensione della natura e dei suoi meccanismi, e di concetti sui quali l'uomo da sempre si è interrogato, come lo spazio e il tempo. Allora, da adulto lavoratore e con famiglia, ho deciso di dedicarmici seriamente e mi sono laureato in Fisica all'Università Statale di Milano.
Le riflessioni che ho iniziato durante i miei studi mi hanno poi portato a scrivere i miei libri.

Come è nata la tua passione per gli scacchi?
È nata, o per meglio dire è esplosa, nell'estate del 1972. Avevo 14 anni, e gli scacchi vennero portati improvvisamente alla ribalta di tutti i mezzi di informazione per via del match di campionato del mondo tra l'americano Bobby Fischer e il russo Boris Spassky. Giornali, radio, televisione, riportavano giornalmente le notizie sul match del secolo: in piena guerra fredda faceva molto scalpore questo scontro tra un americano solitario e individualista e il rappresentante della perfetta macchina scacchistica collettiva sovietica che voleva dimostrare al mondo la sua superiorità. Fischer vinse il match diventando il primo campione del mondo non sovietico del dopoguerra.
Come moltissimi della mia generazione, io scacchisticamente sono figlio di Fischer-Spassky.

Hai appena pubblicato un saggio su Alan Turing, quanto ha inciso il suo lavoro come crittografo nella vittoria alleata della Seconda Guerra Mondiale?
Ha inciso moltissimo. Come racconto nel mio libro, Turing fu una della figure più determinanti di Bletchley Park, il segretissimo servizio crittografico del governo britannico, dove tra le altre cose si lavorava alla decifrazione dei messaggi che i nazisti crittografavano con la loro macchina Enigma.
Lo storico Sir Francis Harry Hinsley, uno dei criptoanalisti che ci lavorarono, affermò in un suo libro del 1996 che Ultra, nome in codice dato alle informazioni ottenute da Bletchley Park, abbreviò la guerra da due anni a quattro anni.
Alan Turing fu determinante per la decifrazione di Enigma, soprattutto per quanto riguarda la versione in dotazione alla Kriegsmarine, la Marina Militare del Reich. Questa versione, la più coriacea, era quella utilizzata dagli U-Boot, e la sua decifrazione fu una vittoria contro la guerra sottomarina tedesca nell'Atlantico del Nord: il giudizio di Hinsley è dunque fondato e fu peraltro condiviso anche da Churchill e da Eisenhower.
 
Ciao!

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